BLOCCARE LE VECCHIE AUTO PER 6 MESI? MEGLIO RIDURRE I VOLI

A Treviso, come in altre città italiane, è scattato il blocco delle vecchie auto, dalle Euro 2 in giù. Sono troppo inquinanti, argomentano le istituzioni, che devono cercare soluzioni per ridurre lo smog cittadino, riportandolo a livelli meno pericolosi: in nome del bene comune, si dice.  Sulle misure prese, sono in corso le solite polemiche tra sostenitori e oppositori del blocco, polemiche in cui si mescolano interessi particolari  e calcoli politici opportunistici, volti a screditare l’avversario. Poiché non  abbiamo interessi particolari da difendere, e nemmeno posizioni politiche da proteggere, possiamo intervenire con il dovuto distacco, tenendo ben presente l’imperativo prioritario del momento, che è quello di ridurre il più possibile l’inquinamento ambientale, non solo nelle grandi città.

 

1)      Il blocco delle Euro 2-1-0 è utile per questo scopo?

I partigiani di questa soluzione dicono che è indispensabile, trattandosi di auto obsolete molto inquinanti, e a prima vista la motivazione appare sensata: in realtà, è alquanto semplicistica e discutibile, per vari motivi. Per esempio, alcuni ricercatori sostengono da tempo che le auto diesel di recente generazione, dotate di filtro antiparticolato, sembrano inquinare molto meno per quanto riguarda le pm10, ma solo perché le frantumano in frazioni molto più sottili che sfuggono alle centraline di monitoraggio (attrezzate comunemente per pm10, e qualche volta per pm2,5), per cui formalmente  risultano rispettati i tetti di inquinamento prefissati. Di fatto, sembrano produrre un inquinamento da nanoparticelle ( di molto inferiori alle pm10, ma anche alle pm2,5) assai  più subdolo e pericoloso, in quanto molto più penetranti e invasive: se avessero ragione, la crociata contro le vecchie auto da rottamare risulterebbe assai discutibile e pretestuosa, in quanto fondata su valutazioni unilaterali e incomplete, che considerano solo alcuni fattori trascurandone altri . Non sarebbe doveroso un approfondimento scientifico, prima di lanciare misure antismog che potrebbero rivelarsi avventurose?

 

2)      Sostituire le vecchie auto con quelle nuove (euro 4-5 e prossimamente 6) aiuta a ridurre l’impatto ambientale complessivo?

Anche se fosse vero tutto quanto si declama a favore delle auto nuove ed ecoefficienti, i conti non tornano comunque: infatti bisogna considerare non solo i minori consumi e il minore inquinamento chimico, ma anche, ovviamente, l’impatto dovuto alla costruzione di un’auto innovativa che dovrebbe sostituire quella vecchia, per lo più destinata alla rottamazione. Secondo i dati pubblicati da Mirco Rossi in Energia e futuro (EMI, 2011), per la costruzione di una nuova auto di medie dimensioni occorrono circa 2000-3000 kep (chilogrammo equivalente petrolio). Questo significa che “per pareggiare l’energia impiegata nel produrre il nuovo veicolo con il risparmio energetico che si realizza usandolo al posto di quello rottamato, si dovrà prima percorrere la bellezza di oltre 234.000 km” (l’autore, nel testo, fornisce i criteri tecnici per tale calcolo, che ovviamente ha un valore di approssimazione). Per farla breve, e andando all’essenziale: la fabbricazione di un’auto nuova comporta da subito un elevato consumo di energia e materiali, quindi l’emissione rapida di una serie di inquinanti (anidride carbonica e altro), mentre per pareggiare il conto e apprezzare poi gli effetti benefici del nuovo veicolo rispetto a quello in disuso, bisognerà attendere molti anni, troppi… tanto vale, ormai che ci sono, utilizzare i vecchi veicoli per quanto possibile e sostituirli con quelli nuovi solo in occasione della loro “morte naturale”, invece di affrettarla con la rottamazione indotta(quando c’erano gli incentivi) e ora con le misure antismog: queste ultime sono discutibili per quanto concerne la riduzione dell’impatto ambientale complessivo, ma sono viste con favore dalle industrie automobilistiche, poiché si stimola un mercato artificioso a loro beneficio, come se si trattasse di obsolescenza programmata. In pratica: sono misure funzionali alla crescita del PIL e del business, più che all’ecologia (senza considerare i disagi aggiuntivi che incombono sui ceti meno abbienti, in un contesto di crisi).

 

3)      Ridimensionare sensibilmente i voli aerei, per ridurre da subito l’inquinamento (e la spesa pubblica)

A Treviso e nei comuni vicini, una grande fonte di impatto ambientale è costituita dall’aeroporto e dai voli aerei, come ripetutamente denunciato da vari cittadini e dal locale Comitato contro l’ampliamento dell’aeroporto; non a caso, la Commissione VIA presso il Ministero dell’Ambiente ha recentemente bocciato l’improponibile richiesta di raddoppiare i movimenti aerei, inoltrata dai gestori aeroportuali SAVE – AERTRE. Una bocciatura sonora, praticamente all’unanimità (solo 2 astenuti su 50), che non dovrebbe lasciare alcuna possibilità di sviluppo ad un aeroporto situato in una posizione del tutto infelice, in mezzo a case abitate. E’ inoltre noto che i voli aerei inquinano moltissimo, e comportano un elevato consumo energetico, come ha sottolineato uno dei nostri scienziati più autorevoli, Sandro Pignatti, in un testo altrettanto autorevole, scritto con l’economista Bruno Trezza (Assalto al pianeta, ed. Bollati Boringhieri: tra l’altro il libro ha vinto, qualche anno fa, a San Polo di Piave, il Premio Mazzotti per l’ecologia). Nel volume in oggetto, si documenta (citando Herendeen) che un solo viaggio aereo intercontinentale di andata e ritorno brucia 5 barili di petrolio per passeggero, cioè il quintuplo del fabbisogno energetico annuo di un abitante del Bangladesh. Risulta inoltre che ormai il dispendioso traffico aereo provoca circa il 10% dell’effetto serra (Paul Wennberg, California Institute of Technology), cifra che si stima in costante aumento: basterebbe questo per pretendere da subito il netto ridimensionamento dei voli come fondamentale misura ambientale. Non si tratta di una richiesta spropositata: basti ricordare che l’IPCC (l’organismo dell’ONU che si occupa di cambiamento climatico ed effetto serra) già nel 1999 realizzò uno studio sull’impatto dell’aviazione. Il primo rapporto dell’IPCC suggeriva di ridurre i voli, a favore di altre modalità di trasporto, e di introdurre tassazioni per disincentivarli. Stiamo facendo esattamente il contrario, ed oggi le compagnie aeree e aeroportuali  fanno notare con enfasi che i voli si sono moltiplicati e che le richieste sono in ulteriore aumento, per cui esse (le compagnie) sarebbero benemerite perché risponderebbero ad un’esigenza sociale massiva: ma così dicendo speculano su un argomento con il quale rischiano di farsi molto male. E’ noto infatti che l’espansione massiccia dei movimenti aerei è dovuta ai voli low cost, pochissime decine di euro per volare a Londra o a Madrid, molto meno del treno o dell’auto, il che ha dell’incredibile: spesso si tratta di voli a bassissimo costo, e talvolta sotto costo. Chi paga la differenza? Come si formano i profitti delle compagnie? Esistono in proposito studi e inchieste, che descrivono almeno in parte le dinamiche perverse che fanno proliferare i voli low cost: prima di tutto lo studio Aviation’s Economic Downside (2003), e poi diverse inchieste giornalistiche, tra cui Il vero prezzo del tuo biglietto aereo, di A. Myriel (Terra Nuova, 2009),  Il segreto dei voli low cost, di M. Cobianchi (in Mani bucate. A chi finiscono i soldi dei contribuenti, Chiarelettere, 2011), Ryanair, rotte truccate, di Antonio Rossitto (Panorama, 2012)...  In estrema sintesi, i fattori principali del low cost risultano essere: le agevolazioni fiscali a vantaggio delle compagnie, il basso prezzo del kerosene usato dagli aerei (esente da tasse, a differenza della benzina, benché sia molto inquinante), e i contributi pubblici alle compagnie, spesso mascherati sotto la voce “promozioni turistiche” o simile (a volte ai limite della legalità, vedi indagini della magistratura e della Commissione europea in alcune regioni italiane e in Europa). L’economista ambientale Wolfgang Sachs ci ricorda inoltre che il traffico aereo è stato escluso dal Protocollo di Kyoto, per cui “l’inquinamento dello spazio è libero e completamente gratis, al contrario di altri tipi di inquinamento, che devono essere risarciti da chi li provoca”. Solo a partire dal 2011 il Parlamento europeo ha proposto di applicare anche al trasporto aereo il sistema ETS di scambio di emissione di gas serra (fissando un tetto di emissione per ogni compagnia, con relative sanzioni in caso di sforamento), attirandosi l’ostilità non solo delle compagnie aeree, ma anche degli stati extraeuropei: misure del genere ostacolerebbero l’espansione dei voli e inciderebbero sui profitti delle compagnie, le quali sono solite rifiutare tassazioni e pretendere invece sussidi e agevolazioni fiscali.

La follia perversa consiste proprio in questo: gli enti pubblici (stato, regioni, province o comuni, secondo i contesti)da anni finanziano con i soldi dei contribuenti o agevolano fortemente una delle attività più antiecologiche in assoluto, cioè i voli aerei: esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare! Dopo di che,  in nome dell’ecologia, pretendono però di bloccare i veicoli euro 2 e affini, che diventano il capro espiatorio di una situazione ecologicamente insostenibile per ben altri motivi.

La Regione Veneto e il Comune di Treviso e Quinto (ma lo stesso dicasi per altri contesti simili in Italia) hanno a portata di mano una soluzione ottimale per ridurre l’impatto ambientale, se fosse questo il loro obiettivo principale: ridurre i movimenti aerei nell’aeroporto di Treviso, in attesa di arrivare alla sua chiusura o allo spostamento in aree più consone, se ve ne sono. In un colpo solo, si otterrebbero benefici plurimi: riduzione dell’impatto ambientale dovuto ai voli (come dimostrano le ricerche degli scienziati del Centro ambientale del King’s College di Londra); risanamento dell’area del Sile deturpata dall’aeroporto (che, ricordiamolo, si trova in zona parco: i vincoli paesaggistici vanno applicati solo nei confronti dei singoli cittadini?); valorizzazione del territorio locale, per troppo tempo sottomesso alle esigenze aeroportuali; alleggerimento della pressione automobilistica sul disastrato quartiere di San Giuseppe (una parte del traffico infatti è relazionata all’aeroporto); riduzione di una spesa pubblica controproducente per la comunità locale; niente disagi inutili per coloro che non possono sostituire le vecchie auto (caso mai, bisogna porre seriamente il problema di una simmetrica riduzione globale del traffico automobilistico e del parco macchine complessivo: ma questo è un tema che non può essere scaricato solo sui sindaci).

 

Infine: basta chiacchere fumose sulla crescita, magica parola d’ordine degli affaristi e dei politici arretrati a corto di idee e di ecoalfabetizzazione. Oggi, l’unica prospettiva realistica, responsabile, socialmente ed ecologicamente sostenibile, è quella della PROSPERITA’ SENZA CRESCITA, formula innovativa promossa, tra gli altri, dall’economista Tim Jackson durante la Settimana Verde Europea organizzata dalla Commissione Europea (giugno 2010).

Mentre la proposta di espandere i voli, di attirare turisti con il low cost sussidiato e di forzare la rottamazione delle vecchie auto è funzionale ad una logica perversa di Crescita illusoria e antiecologica che favorisce unicamente il business degli affaristi di turno e il consumismo irresponsabile, ma danneggia il territorio, i conti pubblici e la comunità locale, la nostra proposta che si situa nella prospettiva realistica della Prosperità senza crescita è a favore dell’ambiente, della popolazione locale e del risanamento dei conti pubblici, cioè del bene comune, anche se ovviamente non piacerà a chi cerca facili profitti ad ogni costo. I comuni locali e la Regione Veneto, da che parte stanno?