Fermare l'aggressione contro la Libia!

rupestre

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2011-06-16 20:12

Il 15 marzo 2011 inviai al Presidente della Repubblica Italiana questa lettera, che è stata ospitata su vari siti, ve ne rendo partecipi poiché ritengo di aver affrontato un nodo focale della questione nei rapporti tra culture : il rispetto, la CONOSCENZA, la lealtà e la dignità. buona lettura

LETTERA APERTA A GIORGIO NAPOLITANO 15/3/2011

Signor Presidente, non so se questa mia raggiungerà mai la Sua scrivania, infatti la mia incrollabile fiducia nelle istituzioni si è più volte scontrata con i veri e propri muri di gomma frapposti tra la società civile ed i referenti istituzionali.
Efficienti “filtri” scremano di fatto da sempre quelle che sono le considerazioni, i suggerimenti ed idee del “mondo reale” che potrebbero e dovrebbero invece essere evidenziate agli uomini di governo (retoricamente Le ricordo la vicenda di quel ministro Potemkin che nascose alla Zarina lo stato di povertà della provincia russa...).
Ma vengo al punto. La questione immediata è quella della Libia, dello scenario nordafricano, una dimensione geografico-politico-culturale la cui articolata complessità ed i codici comportamentali della quale – mi permetta di affermarlo con ragionevole certezza – al nostro mondo politico, Lei ed il Presidente del Consiglio compresi, sfugge alquanto.
Che ve ne sfugga la complessità, delicatezza e “ritualità” è abbastanza evidente negli episodi che hanno caratterizzato gli ultimi mesi trascorsi, dalla stipula del trattato Italia-Libia (che in realtà era un trattato Nordafrica-Europa o un suo début, ma qualcuno in Europa lo ha, per l'appunto, vissuto con jalousie...) contrassegnato da un folkloristico cattivo gusto e dal servile baciamano – non richiesto né sollecitato da alcuno (nelle culture tradizionali ogni gesto ha un significato molto più profondo e simbolicamente definitivo di quello che è il nostro protocollo che comunque esso stesso ne deriva) segnale evidente di una misconoscenza di ruoli, tradizioni, ritualità. Una ignoranza pericolosa ed inammissibile.
Vede, signor Presidente, io ho avuto l'opportunità più e più volte di relazionarmi con le popolazioni di vari paesi nordafricani e Le posso garantire che, personalmente coinvolto da un profondo senso di responsabilità, in quanto comunque latore di un messaggio attraverso i miei più banali comportamenti – ogni volta – ho cercato di rappresentare al meglio quella che è (credo) la nostra realtà culturale. Badi bene, non parlo di civiltà, né di primato tecnologico, o progresso. Le parole hanno un peso, un senso, troppo spesso vengono – come i gesti – usate a sproposito mentre c'è una parte cospicua del mondo che ai gesti ed alle parole, agli atteggiamenti, fa corrispondere anche una “sostanza”.
Io, nel mio piccolo, negli approcci con quelle realtà, ho cercato di essere un buon ambasciatore dell'Italia, dell'Europa, e mi creda talvolta si è sottoposti a veri e propri esami, nei luoghi più sperduti, luoghi dove ti guardano in faccia, e da lì ti scrutano nell'anima. E' una esperienza che sarebbe interessante per molti, di certo per i moltissimi che oggi, sull'onda di una improvvisa e stentorea parola d'ordine, hanno aderito a quello che a molti altri appare uno strumentale, poco dignitoso ed alla fin fine finanche ingenuo voltafaccia. Ingenuo voltafaccia perché una delegittimazione internazionale appare costruita a tavolino e l'ultimo della classe (l'Italia, spaghetti e mandolino) è stato rimesso in riga. Imbarazzante.
Non sarà questo Vostro improvviso ripensamento nei confronti del colonnello l'ennesima gaffe di una diplomazia che prima si arrabatta con un cerimoniale improvvisato (stia ben attento che già altri, più esperti di noi nelle colonie del nordafrica, sono incespicati in rituali da operetta, la storia andrebbe studiata...) e quasi grottesco (cerimonia suggestiva la definì un cronista televisivo, sic) con note di una naïveté imbarazzante, e che poi al richiamo all'ordine da parte di non-si-sa-bene-chi si affretta a pentirsi e riunirsi al coro?
Chi sono gli analisti che suggeriscono le Vostre decisioni? Perché in fin dei conti siamo noi a pagare i loro stipendi. Mi passi questa nota stridente ma l'argomento denaro mi pare sia uno di quelli che destano da sempre la maggior sensibilità mentre gli aspetti etici pur troppo spesso rammentati restano legati alla sfera dell'innocenza.
Sono gli stessi esperti che al Presidente del Consiglio hanno spiegato il baciamano all'esponente di una etnia beduina come una usuale affermazione di pariteticità?
Chi sono gli strateghi che hanno verificato la veridicità dei filmati dei bombardamenti di città e di folle, forse gli stessi che certificavano l'esistenza del paradiso del proletariato al di là del Muro di Berlino?
Poveri noi!
Vede Presidente, la sfida vera – io credo – non è sulle spiagge della Cirenaica, la sfida di questo preciso momento storico è quella tra un sistema culturale, diciamo così, Europeo ed Occidentale, ed uno più tradizionale e non tecnologico. Un modello che di una rincorsa al consumo ha fatto in un primo momento motore di sviluppo ed in seconda fase obiettivo permanente, relegando in subordine o addirittura rimuovendo tutti gli aspetti etico-comportamentali che sono base e radice della nostra cultura.
Abbiamo aderito, nel secondo dopoguerra, ad un accattivante e solare modello di sviluppo – il consumismo di stampo nordamericano – la cui unica alternativa appariva piuttosto lugubremente rappresentata dalle nebbie dei gulag siberiani, non rendendoci conto (riuscivamo a mediare gli aspetti più eclatanti di quella artefatta e policroma dimensione di sfrenato inesauribile benessere grazie ad una nostra atavica affezione – la nostra forza – ai nostri più sobri e genuini riferimenti tradizionali.
Se vogliamo si è trattato di un periodo straordinario, macchiato dalle deviazioni di una perversa ed imbecille interpretazione di potere e politica (epoca stragista ecc.), la stessa crisi dei partiti tradizionali e il riaffacciarsi di una nuova partecipazione “civica” alla vita del paese, lo schianto etico seguente a mani pulite, un imprenditore come Berlusconi che si fa avanti e “rischia” di passare alla storia come l'autore di un nuovo miracolo italiano, stavolta di consensi e di alternanza, un termine che nelle politica nazionale sembra un neologismo.
La sfida dicevo è tra questo scenario socio-economico (che sta mostrando, e ce ne rincresce, un po' la corda) ed una dimensione del mondo più sobria – che non vuol dire miserabile o da compatire, come a qualcuno piace – che nel mantenimento di proprie radici e valori tradizionali ricava la propria forza. Dove tradizionale non significa arcaico o antistorico, significa eredità da portare avanti.
Volete forse distrarci da quelli che sono ben più gravi problemi cosicché non ce ne preoccupiamo e per far ciò ci create degli scenari più convenzionali? No, non disturbateVi, diteci come stanno davvero le cose, lo preferiamo, siamo cresciuti oramai, sappiamo guardare oltre l'angolo di casa. Noi.
Io credo che gli sfidanti siano altri da quelli che oggi ci vengono proposti dagli organi di informazione e che altri siano i teatri della sfida.
La Libia in qualche modo è stata una maniera per bacchettare le dita dell'Italia, per ricordare che “altri” hanno titolo ad argomentare su Sahara e – perché no, petrolio.
Ed il messaggio - il primo messaggio – che è passato, agli occhi del nordafrica che – se lo lasci dire – non è tout-court mondo arabo ma una accezione diversa e molto variegata, è che siamo dei voltagabbana opportunisti ed è un'immagine in cui io non mi riconosco, non mi riconosco nella figura meramente speculativa che ce ne deriva, pronti a scodinzolare servilmente davanti a chi di volta in volta fa la voce più grossa o ha le chiavi della pompa di benzina.
Ci sono vari livelli e forme di dignità, c'è anche quella di essere avversari e nemici ma va saputa vivere, non è una camicia che si indossa, è un indumento talora stretto. Ricorda “Passaggio in India” il bel libro di Forster su una lontana realtà coloniale? Fielding sa che la signorina Quested non è stata assalita dal giovane indiano Aziz ma non può abbandonarla e – da gentiluomo inglese – sa che deve lo stesso proteggerla dalla folla.
Al sottoscritto tanti anni fa - epoca della prima Guerra del Golfo – in Algeria del sud, con una pila di passaporti tra le mani di un miliziano ed il ritratto di Saddam sulla scrivania, venne chiesto di esprimersi in merito all'ultimatum al Raïs. E' in quelle circostanze che vieni pesato e che viene espresso un giudizio complessivo oltre che su di te, su tutti gli altri che tu in quel momento – ti piaccio o meno – rappresenti. Non amo le guerre né le prove di forza tra Golia e Davide (non ho dovuto farci i conti, è un lusso che è stato concesso alla mia generazione) ma la questione, là, era un'altra. Io risposi che il mio paese faceva parte della Coalizione, dell'Alleanza, e quindi l'ultimatum per me era giusto. I miei passaporti vennero tutti ugualmente timbrati nel tempo in cui ci fumammo, insieme, una sigaretta. Mi strinsero la mano e mi congedarono con un cameratesco Bon Voyage! C'è una dignità anche nell'essere avversari.
Però ci deve essere dignità.
Io nella vicenda libica non ve n'ho trovata, purtroppo.
E me ne rammarico, mi creda, nel mio piccolo io ho sempre speso bene il nostro nome.
Mi rammarico che per i suggerimenti di cattivi compagni di viaggio, yes men e autoreferenziati sedicenti conoscitori del “mondo arabo” il nostro paese rischi di perdere la faccia.
Ho osato scrivere queste cose senza tante perifrasi, con una pacatezza che mi stupisce perché – Le assicuro – la cosa mi ha oltremodo amareggiato, a mio modo di vedere è l'ennesima occasione perduta che ci è passata davanti, quasi l'abbiamo toccata con mano, vedendo scorrere per decine di giorni sugli schermi televisivi sempre la stessa immagine di quell'unica bomba a mano...Ma non mi si fraintenda, per il sottoscritto anche una sola vittima è una vittima di troppo e come lettura preferisco Saint-Exupéry al Von Clausewitz.
E' possibile, ha un senso che non si riesca a farVi arrivare la nostra voce?
E' questo il senso della democrazia? L'inavvicinabilità dei Referenti Istituzionali?
L'incomunicabilità, l'invisibilità in assenza di una griffe? Perché, in tutta evidenza, per comunicare con Voi è necessaria una autorevole presentazione. Io credevo, avevo l'immagine nella mia mente – forse un po' da Grecia antica, ma la democrazia non l'hanno inventata loro? - del presidente “primo tra eguali”. Mi sbagliavo?
Mi ascolti, Presidente, anche se io non sono una griffe. Forse anche le mie opinioni possono avere un peso. Non sono solo le mie opinioni ed il mio punto di vista. Lo sono di molti.

Una annotazione: parlate sempre di Occidente - ricordiamoci che il Marocco è più ad Ovest dell'Italia, così come gran parte dell'Algeria e tutto il Senegal... - e poco di Europa (geografica e culturale meglio che economica).
Un suggerimento: parlate un po' più di Europa e Mediterraneo (a qualcuno – ad oriente – dà un po' fastidio, perché?).
Una considerazione: dire occidente (in riferimento a noi) significa esprimere un punto di vista orientale, potremmo dire anzi “levantino”, vi sovviene nulla?...

A Sua disposizione per ogni chiarimento.

I miei rispetti, Emilio Borelli.

P.S. Avrei voluto trasmetterne copia anche al Presidente Berlusconi ma non sono riuscito a trovare un portale di dialogo.


Come immaginerete non ho mai avuto risposta, pochi giorni dopo sono iniziati gli attacchi.