No alla bibliometria per valutare università e ricerca

Carlo Palombo

/ #11 Commento a petizione

2013-05-26 11:14

Gli indicatori bibliometrici possono costituire un parametro indicativo di "presenza e regolarità" nell'ambiente della ricerca, ma presentano pericolosi aspetti distorsivi per cui non possono avere efficacia come condicio sine qua non per la selezione dei ricercatori e le progressioni di carriera.
Agli "effetti collaterali sfavorevoli" già denunciati da autorevoli ambienti accademici italiani e stranieri, ne aggiungo qualcuno di assoluta evidenza:

a) Il numero di lavori privilegia soggetti inseriti in gruppi di ricerca forti, nei quali sono certamente presenti figure di assoluto rilievo, ma che includono - almeno nella situazione italiana - altre figure prive di particolari capacità di ideazione, innovazione e promozione della ricerca, che vengono prremiate con la "authorship";
b) Queste figure "minori", se non addirittura piccoli "cloni", ad una valutazione meramente bibliometrica, risulteranno nettamente superiori ad altri ricercatori che operino in contesti meno forti e/o abbiano obiettivi di ricerca meno "popolari" e maggiormente innovativi.
c) Questi due aspetti distorsivi derivano principalmente dall'utilizzo del parametro "numerosità delle pubblicazioni", che tende a premiare il numero rispetto alla qualità della rivista e all'innovazione della ricerca (favoriti dal profliferare degli Open Access Journals), e dal parametro "citazioni", che tende a privilegiare la ricerca consolidata rispetto a quella innovativa.
d) Naturalmente non si nega nè il fatto che alcuni ricercatori / scienziati possano essere assolutamente capaci ed innovativi, ed avere indicatori bibliometrici molto elevati, nè che indicatori bibliometrici decisamente bassi si associno con elevata probabilità a sostanziale inconsistenza scientifica.
e) Riassumendo, a mio parere l'impiego acritico ("oggettivo"?) degli indicatori penalizza molti soggetti potenzialmente meritevoli ai fini della progressione di carriera e, aspetto assolutamente più sfavorevole in prospettiva, rischia di reclutare a livello di ricercatori ed associati, ovvero l'asse portante dell'Università dei prossimi venti anni, molti soggetti scientificamente incosistenti ma "bibliometricamente dotati".
f) Nei Paesi scientificamente avanzati, ad un primo "filtro" bibliometrico seguono colloqui o prove volti a valutare la progettualità del candidato e la congruenza di tale progettualità con bisogni e obiettivi dell'Università, con un ampio margine di discrezionalità da parte della Commissione valutatrice.
g) La discrezionalità peraltro, per essere virtuosa, presuppone la moralità e la visione dell'interesse generale, ed è per questi limiti di fondo che il nostro Paese avverte regolarmente l'esigenza di criteri apparentemente "obiettivi".

Con l'augurio che questa discussione possa contribuire ad affrontare in modo aperto i problemi drammatici della nostra Università, in primis la necessità di garantire un ricambio generazionale "virtuoso".