No alla bibliometria per valutare università e ricerca

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/ #22 Editoria Internazionale e indici bibliometrici

2013-06-04 08:32

E’ fuor di dubbio che un minimo di qualificata produttività scientifica deve essere un prerequisito essenziale per poter concorrere ad una abilitazione così importante. Tuttavia gli indici bibliometrici adottati destano le perplessità che tutti conosciamo, e la loro adozione “sic et simpliciter” sembra la classica soluzione all’italiana di un problema indubbiamente delicato da risolvere. Nella discussione in atto sulla validità di questi indici bibliometrici voglio fare alcune considerazioni. Prima tra tutte, la considerazione che questi indici non rendono conto di aspetti critici del rapporto tra autore e lavoro. Non è possibile capire dagli indici adottati quanto un autore abbia pesato nel lavoro stesso. Spesso i lavori sono firmati da una pletora di nomi ed è frequente, soprattutto in certi settori, l’inserimento e lo scambio di nomi in tutti i lavori prodotti. E spesso la natura di questi lavori non è nemmeno multidisciplinare, cosa che forse potrebbe giustificare l’alto numero di coautori. Possiamo trovarci di fronte a gruppi che tradizionalmente o forzatamente inseriscono tra gli autori il “capo”, o presunto tale, della struttura in cui operano. Vi sono gruppi che hanno così prodotto quasi un lavoro ogni tre giorni negli ultimi anni. Poi c'è l'aspetto dei tuttologi, cioè di coloro che si occupano delle cose più svariate e che forse in sostanza non si sono occupati di nulla in concreto, tuttologi che con questi meccanismi verrebbero però premiati.
Gli indici adottati sfavoriscono il personale universitario e favoriscono certamente chi proviene dagli enti di ricerca, che, non dovendo impiegare il proprio tempo in lezioni, esami, consegna di verbali, consigli di facoltà, dipartimenti, scuole di specializzazione etc, si è potuto dedicare esclusivamente alla ricerca.
Ma chi ha voluto questi parametri dimostra in realtà di non conoscere cosa sta accadendo nell’editoria scientifica internazionale. Le Riviste sono ormai in crisi perché in pochi se ne possono permettere l’abbonamento, ed ecco che compaiono le riviste free access, a pagamento però. Se vuoi pubblicare un articolo cioè, devi pagare. Il numero di citazioni: qui viene il bello. Bisogna fare molta attenzione. Esiste in letteratura un cartello delle citazioni, orchestrato anche da certi Editori, con l’obiettivo di far lievitare il “prestigio” delle proprie riviste quantificato nel famigerato Impact Factor. Una rivista ha un Impact Factor elevato in base al numero di citazioni che gli articoli pubblicati in quella data rivista collezionano in letteratura. Ora è bene sottolineare che un lavoro pubblicato in una rivista ad alto fattore di impatto può non significare nulla perché il fattore di impatto riguarda la rivista e non il singolo lavoro. Per aumentare il fattore di impatto basta far aumentare le citazioni della rivista. Per questo scopo sono disponibili riviste che iniziano a proliferare sul web, spesso edite da editori asiatici, per pubblicare sulle quali basta pagare qualche migliaio di euro o di dollari per articolo. Alcune di queste riviste sono entrate nell’Olimpo delle riviste con fattore d’impatto; e il gioco è fatto. Difficilmente l’editore di tali riviste rigetta un lavoro, anche contro il parere di referee eventualmente consultati, ed il motivo è semplice: perché perderebbe l’incasso che gli deriva dagli articoli da pubblicare. Per fare un esempio di quanto si verifica si può citare il caso della rivista Cell Trasplantation, che ha utilizzato, tramite ricercatori del suo Editorial Board, una di queste riviste on line, il World Scientific Journal, per farvi apparire articoli che in bibliografia riportavano quasi esclusivamente lavori apparsi su Cell Trasplantation. (http://scholarlykitchen.sspnet.org/2012/04/10/emergence-of-a-citation-cartel/
D’altra parte case editrici prestigiose, comprese quelle di Nature e Science si sono attrezzate con qualche rivista “ombra” on line, e si cominciano ad offrire a pagamento anche gadget legati alla pubblicazione del lavoro (copertine incorniciate ad es.). Bastano una cinquantina di citazioni in più per far innalzare sensibilmente il fattore di impatto di una rivista. Di fronte a questi comportamenti entrambe le riviste sono state sospese dalla Thompson Reuters dall’inserimento nel Journal Citation Report (JCR), e la stessa Thompson Reuters sta verificando la possibile esistenza di altri di questi casi.
Allora, anche il numero di citazioni può essere un indice bibliometrico taroccabile, che può non rispecchiare l’effettivo impatto scientifico di un lavoro.
Ecco perché le Commissioni che dovranno attribuire l’idoneità scientifica avranno un ruolo delicato e difficile, dovendo prestare molta attenzione nell’assicurare quella accurata valutazione dell’attività scientifica che una mera graduatoria basata sul “chi ne ha di più ne metta” non può garantire.
Prof. Eugenio Scarnati, Università dell'Aquila